I vincitori tra gavetta, scommesse e futuro: come Toronto ha vinto la NBA

Come i Toronto Raptors sono arrivati in cima alla NBA, e come intendono restarci: le mosse di Ujiri, il futuro di Leonard, la gavetta di Lowry. Il punto
15.06.2019 18:50 di Paolo Terrasi Twitter:    vedi letture
I vincitori tra gavetta, scommesse e futuro: come Toronto ha vinto la NBA

Toronto Raptors, per la prima volta in 24 anni di storia, sono campioni NBA. Un successo storico per l'intero Canada, a secco di titoli negli sport professionistici americani da 25 anni e mai vittoriosa nella pallacanestro. Ma come siamo arrivati a questo punto?

C'è molta Italia in questo successo, sia in modo trasversale che diretto. Sergio Scariolo, assistente di coach Nurse, è il secondo italiano in grado di potersi fregiare del titolo NBA, dopo Marco Belinelli. Un successo che arrichisce già lo sconfinato palmares dell'ex tecnico dell'Olimpia, che si guadagna l'alloro più prestigioso a livello di club dopo aver fatto le fortune della nazionale spagnola. Una nazionale spagnola che gli ha concesso di conoscere già prima di quest'anno Serge Ibaka e Marc Gasol, anche loro al primo successo: il giocatore di origini Congolesi, insieme a Pascal Siakam, rappresenta il volto migliore di un continente sempre più protagonista nel mondo della palla a spicchi, mentre il fratello di Pau, che di questi tempi un anno fa era a bordo della Open Arms nel mediterraneo, mette a frutto i duri anni di Memphis (il numero 33 era su FaceTime con Mike Conley nei minuti immediatamente successivi alla sirena finale) per conquistare l'agognato anello. L'Italia è presente anche in modo trasversale, con quell'Andrea Bargnani, simbolo dei peggiori anni di Toronto: la sua cessione a New York procurò la scelta convertita in Jakob Pöltl, pedina dello scambio avvenuto con gli Spurs la scorsa estate, vero turning point della traiettoria della franchigia. 

Già, quello scambio. Non tutti erano felici al momento. La cessione de "l'agnello sacrificale" DeMar DeRozan non trovò tutti d'accordo, a cominciare da Kyle Lowry. L'ex Rockets era ai ferri corti con la dirigenza per la cessione del suo miglior amico, un anno dopo si trova, da astemio, pieno di champagne negli spogliatoi della Oracle. "Surreale", come dice lui stesso, è la miglior descrizione: un giocatore di squadra, leader, sempre pronto a sputare sangue prima ancora che tecnica e talento, riscatta una carriera fatta di delusioni nella postseason con delle Finali ad alto livello, coronate con una Gara 6 da record (26 punti, 15 nel solo primo quarto di cui 10 in due minuti, giocatore più rapido negli ultimi 40 anni a farlo nelle finali). “Non mi sembra ancora vero, ma so quanto ho lavorato duro nella mia carriera e la felicità di poter dire di essere un campione NBA ora mi ripaga di tutto. Riuscire a vincere un titolo è qualcosa di pazzesco, perché tanti campioni non ce l’hanno mai fatta, per cui non voglio darlo assolutamente per scontato. Non è stato facile nel corso di tutta la mia carriera ma mai, mai una volta ho pensato di mollare: amo questo gioco, amo questo lavoro, amo la mia vita”, dice oggi, finalmente arrivato al punto di arrivo di un viaggio lungo e complicato." 

Un successo pieno di tanti protagonisti, oltre ai già citati abbiamo Fred VanVleet, undrafted passato in poco tempo da giocatore a rischio di venir tagliato fuori dalle rotazioni a Sesto uomo di lusso, cecchino e difensore encomiabile; Pat McCaw, comparsa in campo ma fondamentale in spogliatoio, al terzo titolo in 3 anni; Jeremy Lin, arrivato nella lega in silenzio, esploso in uno dei mesi più irreali della storia NBA, e capace di vincere il titolo da comprimario; Danny Green, specialista alla seconda affermazione dopo il titolo nel 2014 degli Spurs ed un passato in Italia; ma sopratutto il creatore di tutto ciò, Masai Ujiri, e l'indiscusso uomo copertina, Kawhi Leonard

Il primo, entrato di diritto nel gotha dei dirigenti NBA da tempo, ha assemblato una squadra senza giocatori scelti in lottery, prima volta nella storia; ha scommesso su un giocatore reduce da un gravissimo infortunio dai contorni misteriosi, in scadenza di contratto, sacrificando il suo miglior giocatore rischiando di perdere tutto dopo un solo anno. Ha trionfato, così tanto da meritarsi la chiamata dei Washington Wizards, disposti a fare follie economiche e societarie per averlo a bordo per provare a replicare il miracolo nella capitale. Il secondo, invece, per la seconda volta in carriera ferma una dinastia a due passi dal three-peat, con una postseason di livello "Lebroniano", nonostante le non eccellenti condizioni fisiche. Il titolo di MVP delle finali quasi all'unanimità, i 28 di media con mortifera precisione, il canestro contro Philadelphia. Leonard ha zittito i critici che vociferavano come avesse addirittura inventato il suo infortunio in Texas, ha dimostrato di saper essere un ragazzo spiritoso (...a suo modo) e si è preso una intera nazione sulle spalle. "Tutti sappiamo quali erano le mie destinazioni preferite [al momento dello scambio]. Ma come ho sempre detto dal primo giorno, ero concentrato sul presente con l’obiettivo di fare la storia, e lo abbiamo fatto. Il giorno stesso in cui sono stato scambiato ho mandato un messaggio a Kyle [Lowry] e li ho scritto: so che il tuo miglior amico se ne è andato, so che sei arrabbiato, ma facciamo funzionare le cose e creiamo qualcosa di speciale. Oggi siamo qui”. La speranza per i canadesi è che rimanga ancora a lungo: il numero 2 di San Diego non si è sbilanciato ancora sul suo futuro, ma qualunque cosa decida di fare, la gratitudine ed un posto nel cuore (e nella storia) dei tifosi dei Toronto Raptors l'ha già vinto, oltre al titolo. Un successo non da poco, per una città famosa per l'hockey.