Russell Westbrook: un cuore d'oro con la competizione nel sangue

La vita e l'ascesa di un giocatore controverso ma dall'immenso talento e dal grande cuore.
26.04.2015 15:56 di  Simone Mazzola  Twitter:    vedi letture
Russell Westbrook: un cuore d'oro con la competizione nel sangue
© foto di twitter

“La gente pensa che io sia sempre incazzato, ma non è così. Ogni tanto quando mi rivedo non mi capacito di come posa comportarmi con tanta cattiveria in campo, ma il mio unico obiettivo è vincere e per farlo bisogna competere ai massimi livelli.”
Parole e musica di uno dei giocatori più controversi e inarrestabili dell’NBA di oggidì: Mr Russell Westbrook.
 

Nasce a Long Beach il 12 novembre del 1988 da Russell Westbrook Sr. e Shannon Horton. Papà gl’insegnerà a giocare a basket e utilizzerà lo sport come metafora della vita per spronarlo a dare il massimo e usare il suo lavoro come manifesto della sua personalità. Questa sua abitudine rimarrà negli anni perché anche durante la scorsa offseason ha passato giornate con una routine di lavoro al limite del maniacale: sveglia presto, corsa alla mattina, sessione di ripetute sulle dune di spiaggia californiane con il fratello Raynard e sessioni di tiro di tre o quattro ore con papà sino a quando a malapena si vedeva il ferro.
Russell Sr capsce presto che il basket è nel sangue di suo figlio, perché alle sue partite stava a bordo campo e non aspettava altro che l’intervallo per fiondarsi in campo e tirare come i grandi in un canestro ancora troppo alto per lui.
Tornati a casa sono andati a Ross Snyder Park at 41st dove hanno cominciato una serie estenuante di drills del tutto inventati per dare il giusto imprinting tecnico. Dopo aver visto che l’operazione attecchiva si è passati ai mind games motivazionali letti su un libro di Magic Johnson e questo continuo lavoro ha portato il ragazzo a diventare presto protagonista già dall’High School a Leuzinger High in Lawndale dove ha scalato posizioni diventando, nel suo anno da senior, un giocatore da 25.7 punti e 8.7 rimbalzi, con picchi di 51 punti in singola partita. Il suo totale ambidestrismo che lo porta a mangiare e scrivere con la mano sinistra, ma tirare con la destra lo ha aiutato considerevolmente nel suo processo tecnico, anche se il Russell Westbrook atletico, verticale e fisico che vedete ora non è quello che avreste apprezzato in gioventù. La sua prima schiacciata è arrivata nell’anno da senior all’high school, prima della famosa partita da 51, quando non sapeva nemmeno come si mettesse la palla in un canestro senza un tiro. Si è trovato quasi per caso a schiacciare, ma da lì non si è più tolto il vizio. Ad aiutare questo processo c’è una repentina crescita in altezza che l’ha portato da 5-7 a 5-10 in pochi mesi e nel momento in cui ha preso coscienza del suo fisico è stato un crescendo verticale che lo ha portato a declinare diverse offerte di college per rimanere a casa, andando a UCLA da coach Ben Howland.


L’approccio con un livello superiore è stato difficoltoso, infatti nel suo anno da freshman ha giocato solo nove minuti per partita sbagliando la metà dei tiri liberi tentati e risultando la classica guardia dal grande fisico ma dal gioco erratico e schizofrenico. La sua crescita è stata graduale ma costante e nell’anno da sophomore si è ritagliato un ruolo da ministro della difesa con l’highlight della schiacciata pronta ad accadere. In quella stagione i Bruins accedono al torneo NCAA con la top seed mettendo in campo un quintetto che per talento è paragonabile a quello dei Fab Five di Michigan con in guardia lui e Darren Collison, in ala Luc Mbah a Moute e Alfred Aboya e in centro KevinLove. Giocando off the ball produce 12.7 punti e quattro assists, iscrivendosi al basket che conta quando in un two point game al secondo turno con Texas A&M, ha prodotto una schiacciata da consegnare ai posteri perché è stato talmente tanto in aria da far spirare il cronometro prima di metter la palla nel canestro. La stagione dei Bruins si concluse prima del previsto in semifinale contro la Memphis di Derrick Rose con un rotondo 78-63, dove Russ segnò 22 punti, miglior marcatore, mostrando un naturale senso della realizzazione e della fisicità con ancora troppi angoli da smussare. Nonostante questo decide di dichiararsi per il draft e il sito draftexpress.com commette l’errore (sempre molto facile con i prospetti universitari) di dare come best case scenario Leandro Barbosa, ovvero un giocatore veloce in grado di difendere e produrre qualcosa dalla panchina.

Questo aveva convinto anche Presti che si dice abbia cercato di scambiare la sua pick al ribasso, ma non essendoci riuscito ha “dovuto” selezionare l’uomo da UCLA con la quarta chiamata assoluta. Per convincersi a investire su di lui invitò ai provini diversi giocatori di Memphis chiedendo loro chi fosse il giocatore più duro di tutti. Unanimemente gli ultimi avversari dei Bruins dissero che Westbrook era il migliore, convincendolo sostanzialmente a sceglierlo. Nel suo tryout con i Seattle Supersonics il trainer Rob McCalanaghan fu impressionato dall’agonismo del ragazzo dicendo di non aver mai visto dei polsi così rossi per le troppe schiacciate di potenza. Nel 2008 i Thunder (diventati tali nel trasferimento da Seattle a Oklahoma City) sono partiti con il ridicolo record di 3-29, nonostante Durant segnasse già 25 di media e lo stesso Russ producesse molti più punti di quanto non avesse fatto nell’intera carriera universitaria. L’impressione era però che i due facessero fatica ad amalgamarsi per rendere al meglio, sebbene il crescendo di quella stagione fosse evidente. In estate rimase lontano da L.A. per studiare e diventare una migliore point guard, allenandosi incessantemente a Souther Nazarene University. Oltre all’allenamento aveva conseguito anche un’ottima comprensione di gioco per sè e i compagni che lo portarono dai 5.3 assists agli 8 della seconda stagione e agli 8.3 di quella successiva, ma dopo la medaglia d’oro nel 2010 con team USA arriva l’anno 2011 dove la belluina voglia di emergere fa a pugni con la presenza di uno dei migliori tre della lega nella stessa squadra. “Why the fuck didn’t he get me the ball” furono le parole di Durant alla sua panchina dopo una rimessa che non lo aveva coinvolto nella vittoria dopo tre overtime in gara 4 contro i Grizzlies. Probabilmente la frase non era indirizzata a Westbrook, visto che fu Sefolosha a fare la rimessa, ma la sua partita da one man show non aiutò e in offseason si parlava già di guerra fredda tra i due. La testardaggine di Russ è stato sempre il suo miglior pregio che spesso si è convertito in uno dei limiti più pesanti per un giocatore non ancora in grado di veicolare le emozioni.

Tutta la sua innata cattiveria in campo che lo fa inquadrare come un villano del parquet è solo una facciata per un ragazzo che cambia completamente quando esce dai 28 metri lignei: “Se lo incontri -dice il compagno Steven Adams- è il ragazzo più adorabile della terra, ma quando si alza la palla a due diventa una bestia e ogni tanto anche io ho quasi timore a rivolgermi a lui”.
Sembra difficile credergli e dare per buone le due personalità alla Dr.Jekyll e Mr Hyde di Westbrook, ma un ragazzo normale non regalerebbe il suo premio di MVP dell’All Star game a una mamma single di due figli che non poteva permettersene una, facendola letteralmente scoppiare in lacrime davanti a un suo sincero sorriso di felicità. Oltre a questo ha fondato e condotto la “Why not? Foundation” ente benefico già in grado di ricostruire parti di tre scuole cadute a pezzi a Oklahoma City. Per chiudere il capitolo “Russ fuori dal campo” è divertente sapere che ogni anno alla fine della stagione regala un paio di Air Jordan e una fascetta a tutti gli impiegati dei Thunder. Inoltre ha una presenza umana molto calorosa che lo porta a ricordarsi tutte le date importanti, compreso il compleanno della figlia del Director of communications Tumbleson chiamata Russellena. E' molto attento a queste piccole cose umane e soprattutto ha uno spiccato senso della famiglia, infatti non si è mai sentito parlare di lui fuori dal campo perchè passa tantissimo tempo con i genitori, il fratello e la fidanzata Nina Earl, ormai al suo fianco da anni.

Nonostante questo, lui stesso in un’intervista ha ammesso candidamente che ogni tanto fatica a capire come possa comportarsi così in campo nel momento in cui si rivede. E’ come se nei 28 metri di parquet qualcosa in lui scattasse (si definisce “a crazy man”) e lo facesse diventare qualcosa di diverso in nome di quella che lui chiama competitività.
Avevano ragione i ragazzi di Memphis a dire che fosse lui il più duro di tutti, perché la natura di Russ è quella di competere sempre ai più alti livelli e contro gli avversari più difficili, elevando il suo rendimento giorno dopo giorno e allenamento dopo allenamento. Esattamente come gli chiedeva papà da quando ha cominciato.
Oltre al Russell in campo e quello fuori c’è anche il fashion Russ che ha letteralmente sdoganato nell’ambiente NBA gli indumenti più stravaganti e kitch rendendoli un vero e proprio culto. Nei playoffs 2012 fu uno dei primi a proporre degli occhiali “alla Mughini” con montatura rossa e del tutto privi di lenti di modo che fossero abbinabili con la cintura o con un paio di pantaloni a sigaretta rossi.
Harden, all’epoca suo compagno ai Thunder durante le finali 2012, disse le testuali parole: “I vestiti di Russ? Con tutto il bene che gli voglio non li augurerei al mio peggior nemico”.

La sua carriera ai Thunder è stata l’esatta fotocopia della sua esistenza, ovvero un inizio discreto ma con tanti punti di domanda, una crescita esponenziale, la presenza costante nei primi venti giocatori della lega sino a questa stagione dove ha tenuto in piedi da solo una squadra devastata dagli infortuni entrando nel ballottaggio per l’MVP.
I punti di domanda che c’erano all’inizio della carriera se li porta dietro tuttora, venendo spesso etichettato da superficiali “esperti” di NBA come il vero male dei Thunder e di Durant. E’ una personalità e un giocatore erratico che ogni tanto è difficile da comprendere per avversari e compagni, ma è impossibile non innamorarsi della cosa più vicina ad Allen Iverson che abbia calcato il campo da gioco. Interpreta il basket amandolo in tutte le sue sfaccettature: “Molti giocatori alla mattina dicono di non voler giocare quella sera o di non voler affrontare quella determinata squadra. -dice- A me questo non capita perché è uno dei lavori più belli del mondo e adoro andare in campo ogni sera per dimostrare di valere sempre di più confrontandomi con i migliori del mondo”.

Se siete amanti del basket, del talento e degli attributi, non pensate di cambiare Russell sperando che diventi un tranquillo e anonimo getore del gioco. Magari la sua carriera durerà due o tre anni meno della norma, ma finchè lo vedrete in campo sarà così, perché come per il suo stimato predecessore con la maglia numero 3, è l’unico modo in cui concepisce il basket.

LEGGI LE ALTRE NBA STORIES

Matt Barnes: trash talk con gli avversari, amico con i compagni
Russell Westbrook: un cuore d'oro con la competizione nel sangue
Javaris Crittenton: dal dominio su LeBron al narcotraffico e le gang
Steve Nash: la capacità di essere i migliori in campo e fuori
Giannis Antetokounmpo: dalle finte Vuitton a volto futuro dei Bucks
Larry Sanders: Una storia di basket e vita piena di difficoltà
Anthony Davis: dall'insulto di Calipari al dominio in NBA
Michael Kidd-Gilchrist: anche chi gioca in NBA, non sa tirare in sospensione
Hassan Whiteside: salvare le gambe da un incidente e dominare l'NBA passando dal Libano
Nick Young: il suo magico mondo dalla morte del fratello al museo delle scarpe
Il dodicesimo uomo e l'arte di sventolare asciugamani
Lauren Holtkamp: essere donna e arbitrare un mondo di uomini con autorità
Bobby Phills: una carriera stroncata, ma un'amicizia che non muore mai
Chick Hearn, quando una voce rimane nella storia dello sport
Rajon Rondo, lo scherzo della natura e l'arte del playmaking
Kobe Bryant: dagli zero punti in un torneo al sorpasso su Jordan
Mario Elie, il cagnaccio e il "bacio della morte"
Juan Dixon: da un'infanzia tremenda alla casa di Maryland
Jason Collins, il primo giocatore apertamente gay si ritira
Ben Uzoh, una tripla-doppia NBA, senza la sensibilità del braccio
Scampato alle pallottole, Marcus Smart si gode l'NBA