“Lavorerò per meritarmi l’affetto ricevuto”: l’emozione del capitano azzurro

Terza parte di un focus speciale sul capitano azzurro, neo giocatore dell’Olimpia Milano.
06.07.2020 15:00 di Ennio Terrasi Borghesan Twitter:    vedi letture
“Lavorerò per meritarmi l’affetto ricevuto”: l’emozione del capitano azzurro

Gigi Datome è il Capitano della Nazionale italiana. Ha disputato il primo europeo nel 2007 quando non aveva ancora 20 anni. Fu una convocazione rocambolesca, dettata dagli infortuni, che precorse un po’ i tempi. Poi li ha giocati altre quattro volte più il Mondiale del 2019. E il Preolimpico del 2016: per tanti giocatori della sua generazione, l’evento più triste da ricordare, a causa di quella sconfitta dopo un supplementare con la Croazia a Torino che cancellò il sogno olimpico. Di fatto le medaglie vinte con le nazionali giovanili restano le uniche conquistate in azzurro. Ma intanto ha scalato le classifiche storiche: è 13° per punti segnati, 15° per numero di presenze.

Manca dal campionato italiano dal 19 giugno del 2013. Quella sera la concluse in lacrime, nello spogliatoio del palasport di Roma, quello di Viale Tiziano: la Virtus aveva appena perso gara 5 della finale scudetto più inattesa della sua storia. Le lacrime erano per un sogno svanito, ma forse ancora di più per una stagione finita sul più bello, appagante date le prospettive della vigilia. E infine era anche consapevole, Datome, che non avrebbe più vestito quella maglia con cui aveva segnato oltre 1.000 punti in campionato. Il percorso di crescita, da Olbia a Siena, da Scafati a Roma, con le esperienze azzurre, era terminato. Datome doveva decidere cosa fare da grande, da giocatore maturo di quasi 25 anni. Scelse di giocare a Detroit, sesto italiano di sempre a riuscirci dopo Enzo Esposito, Stefano Rusconi, Andrea Bargnani, Marco Belinelli e Danilo Gallinari, prima di Nicolò Melli. A differenza dei tre quasi coetanei, lui non era stato scelto nei draft, era un “undrafted” che aveva attirato le attenzioni degli scout esplodendo sul campo, a suon di canestri come quelli che avevano portato Roma alla finale scudetto. Tra l’altro senza giocare l’EuroLeague.

I sette anni successivi sono stati quelli della maturità: nella NBA ha dovuto riconquistarsi tutto, quindi in un certo senso ripartire da zero, ma quando è arrivato a Istanbul, voluto da Zeljko Obradovic, il suo ruolo è stato fin dall’inizio quello del giocatore di riferimento, una figura positiva, qualunque ruolo dovesse interpretare, quello dell’ala piccola di statura imponente o dell’ala forte perimetrale. Quello che l’ha portato a raggiungere tre finali consecutive di EuroLeague e quattro Final Four. E adesso a Milano: “E’ una nuova pagina di vita e della mia carriera in una società storica e ambiziosa. Non vedo l’ora di cominciare per costruire ciò che vogliamo diventare. Lavorerò per meritarmi quotidianamente l’affetto che sto ricevendo”, ha detto. (3-fine)